lunedì 16 dicembre 2013

Pensieri strani

E chissà che sapore ha averti accanto.
Chissà cosa vuol dire condividere i miei ed i tuoi sogni.
Chissà...
Ho scoperto che amare deve essere come custodire un patrimonio, il tuo.
Che l'amore si offre e non si impone.
Che l'amore umano non dura, come la carne poi muore.
Che è lo spirito che eleva tutto e gli dà un senso.
L'ho scoperto...
Ed ho letto che capita c'io possa sfiorarti la vita ed innamorarmi di te
ma potrei anche aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni prima che diventi realtà.
Ho letto che conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri, che gli altri mi faranno nascondere sotto terra mentre il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica.
L'ho letto...
Ho espresso un desiderio per Natale, che possa rimanere me stessa.
L'ho appeso sull'albero.
Perchè sono stanca di perdermi e tornare sulle orme
che le scarpe nel fango non mi fanno correre.
E vorrei tu fossi il mare perchè so sempre da che parte è.
Vorrei che tu fossi.
Vorrei...
E se poi non esisti?
Beh, mi toccherà aspettare tutta la vita per scoprirlo,
che poi... sono già a metà strada!

lunedì 25 novembre 2013

Giornata contro la violenza sulle donne

Giornata contro la violenza sulle donne.
Giornata contro le donne.
Contro le donne che sopportano o che chiudono gli occhi.
Da figlie, da fidanzate, da mogli, da... madri.
E' colpa nostra, colpa del genere femminile, se gli uomini non ci portano rispetto.
Sarò controcorrente, ma credo sia così, anzi, lo so...
Chiudere gli occhi e sopportare, aspettare che poi tanto passa, contare e far passare il tempo, pensare che sono solo raptus sporadici, giustificare e continuare ad accettare tutto.
C'è tanta ignoranza in queste donne, in questi uomini, ma anche tanta paura. E non delle botte. Paura che le poche sicurezze che si hanno possano sparire, che ci si possa ritrovare soli e senza nulla tra le mani.
E' sempre la solita idea che quello che abbiamo, per quanto sbagliato possa essere, è meglio di nulla.
Bisogna imparare ad accontentarsi solo delle cose giuste.
Ed essere orgogliosi di tagliare i ponti con quelle che non vanno.
Bisogna volersi bene, cazzo. Non lo dirò mai abbastanza.
E volersi bene non è coprirsi con maglioni ad agosto o spalmarsi dosi esagerate di fondotinta solo per coprire i segni che guariranno presto fuori ma molto più tardi dentro.
Volersi bene è essere libere, che a doverci vergognare non siamo mica noi...
Ed insegnare e trasmettere questa dignità agli altri, ai figli, ai figli "maschi".
Che le donne non sono oggetti usa e getta, non sono più inclini al sacrificio di quanto non lo siano gli uomini, non devono sopportare sempre e comunque, non sono inferiori.
E dobbiamo dimostrarlo con i fatti, con l'esempio, in casa.
E non solo fuori, e non solo a parole.
E dobbiamo liberare la mente dai pregiudizi, che una donna maltrattata non è una "poverina", ma una donna che forse non ha ancora capito di poterlo essere davvero, libera.
Libera e responsabile della propria vita.

La malattia curabile

"Vede dottore... non so come dirglielo". (...)
"(...) Il fatto è, dottore, che io sono felice". (...)
"Dottore mio, mi stupisco di lei. Mi segua nel ragionamento. La felicità secondo lei è definitiva?".
"Ma che ne so io? No, credo di no, a occhio".
"Ecco vede? Non può durare per sempre. E quando finisce come mi ritrovo? A me è capitata nel momento sbagliato. Purtroppo. Ma adesso io devo trovarmi un lavoro, una donna, dare un senso alla mia vita. Non posso perdere tempo a godermela, come dice lei. E' una felicità che non posso permettermi, dottore. Mi aiuti". (...)
"Tenga, Barbagallo. Depressin gocce, quindici prima dei pasti, e Tristanzuol compresse, una prima di dormire. Vedrà che starà peggio molto presto".

tratto da La memoteca di Marco Pomar.

Se ancora non lo conoscete vi consiglio di andare a comprarlo subito, anche solo per questo racconto che vale un libro intero.
Una felicità che può causarci problemi, strano punto di vista.
Una felicità regalata così, senza alcun merito, senza alcun motivo. Abituati come siamo ad una vita in cui tutto deve essere perfetto, lavoro, soldi, amore, per poterci sentire soddisfatti e sperare nella felicità, ci sentiamo spiazzati quando arriva da sola. Come se dovesse essere il raggiungimento di un obiettivo, il premio per essere arrivati alla meta. Invece spesso è l'esatto opposto. Più si ha, più si vuole, più in là si sposta il confine oltre il quale dovrebbe esserci la felicità. Che siamo abituati ad essere giudicati per quello che abbiamo e non per ciò che siamo davvero. Senza un lavoro, senza una casa, senza un amore non siamo nessuno, siamo falliti e non possiamo meritarci nulla. Non esistiamo. Allora giù, testa bassa, sacrifici, pur di meritarci un posto in questo mondo. E quindi ecco accontentarci di un lavoro che odiamo, di una casa anche al nord vista nebbia, di un partner che potrebbe essere qualsiasi altro tanto non cambierebbe molto. E così tutto sfugge di mano, altrochè!
Oppure vogliamo sempre di più, sempre meglio, ed allora sacrifichiamo una vita e dei figli per fare carriera, dopo la casa in città vogliamo la casa al mare, quella in montagna e lo studio, e con la stessa frenesia cambiamo compagno/a ogni qual volta incrociamo qualcuno che ci sembra migliore.
E la felicità la lasciamo lì, irraggiungibile, su un podio troppo alto da raggiungere. Mentre spesso sta proprio giù, per terra, a disposizione di tutti, ad altezza bambino, che solo loro ormai riescono a prenderla.
Quando non hai più niente a volte ti spunta un sorriso. Da solo. E ti rendi conto che non c'entra nulla con la serenità o con la tranquillità. C'entra solo con il fatto che sei vivo. E questo basta per essere felici.
E non è nemmeno vero che la felicità è transitoria. E' dentro di noi, sempre. Il problema è che non lo sappiamo e la cerchiamo dentro gli altri, dentro altro. Così quando ci viene a mancare questo qualcosa ecco che sprofondiamo e la perdiamo di vista.
Certo, è DIFFICILE credere che sia tutto così FACILE. Siamo abituati ad essere troppo complicati.
Ci siamo trasformati in conquistatori quando invece siamo nati esploratori!
Buona avventura, allora.

E grazie a te, Marco!

mercoledì 20 novembre 2013

Casa mia

Le persone non mi chiedono mai come sto e cosa mi manca. Forse non credono che mi manchi nulla della mia vita a Padova. Non è proprio così. Mi manca lei, casa mia.
Io ho vissuto l'ultimo anno e mezzo sola. Completamente. Chi crede che stessi in compagnia si sbaglia, e tanto. Non sento la mancanza di una persona accanto, quella è da tanto tempo che non l'ho, mi sono abituata ad avere solo me vicino da diversi anni. A cavarmela da sola, sempre. A non chiedere aiuto, mai. 
Ora però mi manca casa mia. Sempre di più. Mi mancano i miei angoli, la mia cucina, mi manca la colazione con il tavolo apparecchiato e la finestra sul giardino. Mi manca alzarmi la mattina ed andare nel mio bagno, solo mio, sempre libero, con le mie orchidee. Mi manca guardare la tv sdraiata sul divano. Mi manca stare in pantofole. Mi manca leggere un libro e scrivere senza essere mai disturbata. Mi manca mangiare sul letto matrimoniale. Mi manca prendermi cura delle mie piante e del mio giardino, e chissà la lavanda ed il gelsomino piantati a maggio quanto saranno cresciuti...
Mi manca organizzare serate a casa e cucinare per tutti. Apparecchiare bene il tavolo, mettere i calici, i piatti del servizio, le candele, disporre l'aperitivo. Mi manca il mio letto matrimoniale, il mio comò blu e le mie tende turchesi. Mi manca la mia vasca da bagno, che nelle giornate fredde mi rilassava con la musica e le candele accese, coccole solo per me. Mi manca il mio studio, con la scrivania davanti la finestra ed i fiori sul davanzale. 
Me l'ero fatta proprio a misura mia quella casa. Era calda, accogliente, personale. L'avevo tinteggiata da capo a piedi, 110 mq di casa con tetti a falda alti 4 m. Pulita da cima a fondo, dopo quello che avevano lasciato gli studenti. Aggiustata in ogni sua parte. Arredata low cost con pezzi accuratamente scelti tra rigattieri, mercatini, usato ed ikea. Decorata con tutte le mie grandi e piccole installazioni artistiche. Ogni stanza parlava di me, delle mie passioni. Le mie foto ovunque. I colori sempre presenti all'appello. 
I miei ricordi di Padova sono legati solo a me. Non a qualcun altro. Ero sempre sola a casa, sempre sola fuori casa. Mi manca anche andare a fare la spesa in bici, passeggiare sotto i portici, andare al mercato la mattina a comprare frutta e verdura fresca. Mi manca fare la turista, perdermi per le strade, andare in giro con la cartina in mano. Mi manca quella Sabrina, libera.
Non mi manca tutto il resto. Non mi manca la persona che doveva starmi accanto, non mi manca la gente, non mi manca il clima.
Non mi manca la solitudine. Però mi manca lo stare sola. Il vivere da sola.
Tornata qui mi sono circondata di gente, di calore, di mare, di musica. Qui ho ricominciato a vivere una vita che era rimasta in apnea. Ricordo che ogni volta che atterravo a Palermo avevo un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Che poi scendere dalla scaletta dell'aereo ed avere il mare di fronte, ma che spettacolo è! Caricavo i polmoni d'aria che mi sarebbe servita al rientro.
Ora però tutto ciò non basta più a colmare il vuoto. Voglio tornare libera ed indipendente.
Stavolta voglio una casa che sia solo mia, con un contratto d'affitto con un solo nome, anche con un solo bagno ma con un solo spazzolino, con un lettone grande grande, con una cucina colorata e che sappia sempre di biscotti e di cibo, col frigo pieno di quello che mi piace mangiare. 
Voglio che sia mia e la voglio piena di gente, a volte. Solo con un'altra persona, altre volte, magari a farsi confidenze, magari a stringersi sotto il piumone, magari a chiudersi in casa a fare l'alba guardando vecchi film, con una tazza bollente in mano. Che sia un'amica, un'amico, qualcos'altro poco importa. Importa solo che sia la persona giusta che sappia scaldare il cuore. 
Ma voglio che ad abitarla sia sempre una sola persona, la più importante, me.






mercoledì 13 novembre 2013

Tempo

Sono fottuta.
E già, l'avessi capito prima sarebbe stato diverso. Sai quando d'improvviso la nebbia scompare e lascia lì la realtà?
Ecco, non dovevo fare l'architetto!
No no, dovevo dare retta al destino che si era messo contro, e sinceramente se guardo indietro, si è proprio messo lì, con tutte le sue forze a soffiarmi contro per tutta una vita.
Sì, io me lo immagino così il destino, come il vento, come nei fumetti, un ricciolo grigio con qualche foglia vorticosa dentro che spinge solo in un punto preciso.
Dicevo, il destino me l'aveva detto, non mi aveva fatto passare, 309 su 300, niente da fare, fuori!
Ed io infatti ero corsa, senza nemmeno troppa disperazione, a iscrivermi ad un'altra facoltà.
Ma come mi venne questa balorda idea di fare ricorso non lo so!
Ecco, fottuta!
Anzi lo so, fù una mia amica, anche lei respinta da questi test a dirmi: "dai dai dai, facciamo ricorso!"
Ed a quell'età incerta, in cui io certo non brillavo per intraprendenza, che vuoi fare, ti fai trascinare in certe avventure che poi ti segneranno la vita... o te la disegneranno, nel mio caso.
Così fù fatta, la frittata.
Certo, devo dire che gli ingredienti indigesti, oltre alla uova già passatelle, erano numerosi, ma io sono fatta in modo strano, nelle cose ci devo sbattere la testa, altrimenti non le capisco.
Altro che San Tommaso, quello mi fa un baffo! Ma poi San Tommaso, li aveva i baffi? Booo.
Comunque ritornando alla mia ottusità come è mai possibile che mi incastro e lego, incateno, sigillo, involucro, sotttovuoto, sottosopra, in certe cose che nonlosonemmenoioperchèlecontinuosenonlevogliopiù!
Lo devo chiedere al mio analista...
Magari lui lo sa, o non lo sa, ma siccome lo sente dire a me, che ci vado perché non lo so, ma in realtà lo so perché ma non voglio rendermene conto, ed a lui che è un estraneo lo dico, solo perché mi convinco che in quella stanza non c'è nessuno che ci sente, nemmeno io mi sento, infatti non si parla in quelle stanze lì, si vomita, tutto fuori, tutto di botto o a singhiozzi, a rate, così, come ci vien meglio, che poi dipende anche da cosa abbiamo mangiato, da cosa ci ha fatto male ed in che quantità e per quanto tempo.
Ma alla fine, cazzo, c'è lui in quella stanza! E lui le cose le sente, anche se volte fa finta di dormire, o davvero sonnecchia un pò guardando l'orologio, fatto sta che le cose, vuoi o non vuoi le sente, e le sente bene, non ha problemi di udito, e se le ricorda pure, lo stronzo! Che sentirle, cioè farsi attraversare dal suono da orecchio ad orecchio, senza passare dal cervello, no? vero? fare come tutti i maschi e non collegare il cervello ma lasciarlo bello tranquillo in stand by che poi la luce chi la paga? E così lui le sente, le parole, e furbo, te le ripete. Le tue. Ed io che sono andata lì, lo pago, per sentire le mie parole... una mente eccelsa pure io, non c'è che dire, ma questo già lo sapevo, altrimenti che lo scrivevo a fare qui questo pezzo.
A proposito di questo pezzo, perchè l'ho scritto? Anzi, lo sto scrivendo, che io sto scrivendo ora, anche se voi lo leggerete in differita, ma meglio così, almeno ho il tempo di correggerlo da errori di ortografia grossolani che nemmeno un bambino di terza elementare....
Ah, già. L'ho scritto per dirvi due parole. O dirmi, a questo punto non ci capisco più niente.
Le due parole sono: il tempo.
Non preoccupatevi, non sono definitivamente matta, no, ora non inizierò a parlare di perturbazioni, di correnti che vengono da non so dove, e così via...
Il tempo inteso come scorrere dei minuti, delle ore, dei giorni, dei mesi, degli anni, come quello che ogni volta perdiamo, sfruttiamo, gettiamo. Che quello non torna più, e non si differenzia mica, che una volta nella pattumiera va insieme all'indifferenziato a riempire le discariche delle città.
Ma anche tempo come ritmo, tempo musicale, quello esatto in cui uno strumento deve iniziare a suonare.
Pensate ad un'opera lirica.
Il teatro pieno di gente, il brusio di tutti quelli che si sono incontrati lì e dopo essersi tolti il cappotto scambiano quattro chiacchiere col vicino, il rumore attutito dei passi sulla moquette, le porte dei palchi che sbattono, le luci che piano piano si abbassano, il silenzio quasi assoluto, il sipario di velluto rosso che si apre e l'orchestra che inizia a suonare...
Ecco...
Se il primo violino non percepisse il giusto tempo, immaginate voi che disastro... altro che melodia! Ed invece lui è lì, con l'orecchio pronto, e zac! inizia a fare zin zin proprio quando deve.
Che culo!
Sono fortune queste, di capire esattamente il tempo giusto, dico. Anche se saper suonare il violino non deve essere neanche male...
Io il mio tempo non l'ho mai saputo trovare. L'ho sempre perso strada facendo. L'ho inseguito che ormai era tardi, l'ho sentito troppo debole, non l'ho sentito affatto, l'ho confuso con un altro.
Ah, se avessi avuto la stessa prontezza del violinista!
Qualcuno dice che imparerò, che il cammino che sto facendo mi porterà a capire qual è il tempo in cui fare le cose, che anche quelle giuste, sbagliando i tempi, non hanno lo stesso effetto.
Pensate ad una battuta, se sbagli i tempi non la capisce nessuno. Devo andare a lezione di teatro, è deciso! O di ballo.
Ma non l'ho già fatto?
Niente allora sono irrecuperabile, spero che nessuno di voi mi assomigli!

Buon tempo allora, e buon ritmo!

martedì 12 novembre 2013

Ad ognuno la sua spugna

Una spugna secca, una spugna zuppa. Sempre spugna è.
No!
La secca ha perso qualcosa tanto tempo fa...
Ci sono spugne secche e spugne secche, però...
Alcune sono solo asciutte. Mantengono vivo il ricordo di quando erano morbide e delicate, tenere sulla pelle e delle carezze che erano capaci di dare, basta poco per farle tornare come prima.
Altre invece sono proprio rinsecchite, rugose, rigide rigide come fossero pietra. Le devi mettere a bagno per giorni e non è mica detto che riescano a resuscitare dalla durezza che si portano ormai dentro. A volte messe in acqua si sfaldano tutte e perdono pezzi, brutta fine, poverette...
Le zuppe (non le minestre però, eh?), hanno troppo, trasbordano acqua da tutti i lati, che se le prendi in mano lasci una scia bagnata sul pavimento e poi ti tocca passare lo straccio. Ti gocciolano tra le mani ed è sempre un disastro. 
Meglio strizzarle un po' prima.
Ma non sempre lo ricordi, a volte vai di fretta, a volte pensi che ti serva più liquido per quello che devi pulire via, a volte semplicemente sbagli...
Io mi sento una spugna. 
Sono stata secca ma mai rinsecchita, ora sono nella fase di assorbimento.
A contatto con i liquidi li risucchio, assetata di vita, di emozioni. Il rischio? Non sapersi fermare. Non saper gestire il tempo, inzupparsi e lasciare fastidiose scie al passaggio. 
Vengo da un periodo di siccità emotiva, affettiva, comunicativa, sociale.
Non è una giustificazione, è una reazione. 
Sono stata rinchiusa in uno stipetto del bagno per qualche tempo, io che sono nata per essere morbida morbida e coccolare, e mi sono disidratata. 
Non troppo per fortuna.
Recuperare il tempo perso non si può, quindi sarà meglio imparare ad assimilare poco per volta, senza il rischio di strafare. 
Che a nessuno piace avere bagnato per casa!

lunedì 11 novembre 2013

Musica

Ci sono periodi strani nella vita delle persone. Periodi in cui ti accorgi che la vita è fatta di episodi, di incontri, di porte che si aprono e chiudono all'improvviso, di treni che puoi acchiappare solo al volo. La vita è fatta di scelte, e molte di quelle importanti sono proprio quelle inconsapevoli. Facile scegliere quando sei di fronte ad un bivio, perché sai che di hai due possibilità davanti a te e la scelta da compiere è chiara, A o B. Ma quando gli incontri sono fortuiti e le occasioni che ti si propongono non sono così lineari e di facile interpretazione, ma sono momenti da prendere al volo, posti e persone giuste al momento giusto, ecco che è tutto più difficile, ecco che ti trovi a non riconoscere la tua possibile scelta, ti sembra tutto normale, tutto banale. Sarò io che sono fortunata, non lo so, ma di fatto nei periodi importanti della mia vita succede sempre che riesco ad avere questa capacità di vedere oltre. Oltre alla quotidianità, oltre al consueto, che come se fossi Milo davanti ai codici di Matrix tutto mi appare chiaro e preciso. Ed è in questo momento che incontro qualcosa o qualcuno che mi cambierà, che mi darà qualcosa. E’ capitato già qualche anno fa con la fotografia. Di colpo, all'improvviso, ho preso una macchina fotografica in mano e mi sono messa a far foto. Le sapevo già fare, ma non mi ero mai davvero messa in gioco, non avevo mai cercato me dietro un mirino, mi limitavo a cogliere un’istantanea di quello che vedevo, una foto ricordo insomma. La scoperta è stata capire che quel mirino guardava un mondo, il mio, tutto da esplorare. Spostarsi dal punto di vista comune ed assumere il mio modo di vedere le cose. Fare foto per me e di me, e non cartoline. E da quel momento in poi ne è successa di vita. Ne ho fatte e scoperte di cose. Ora capita di nuovo, e sempre con qualcosa che mi appartiene già. La fotografia mi apparteneva fin da piccola quando prendevo l’attrezzatura di papà e mi dilettavo nelle foto notturne, cartoline di mondi solitari immaginari e perfetti. Oggi invece si chiama musica. La musica io l’ho dentro, sono nata con lei, mi scorre nel sangue grazie a mia madre. Figlia di cantante non ho mai provato né a cantare né a suonare. Ma fin da bimba mi ricordo i camerini del teatro con gli acuti che arrivavano fin lì, i tendoni spessi del palcoscenico, gli omoni grandi e grossi come orchi, tutti truccati, che quasi facevano paura, i tutù delle ballerine e i banchi delle chiese dove a volte di notte mi capitava di dormire stremata aspettando che mamma finisse di cantare. La musica è stata lì ad aspettarmi, paziente, senza far mai troppo rumore, per riemergere ora preponderante. E’ nato tutto per caso, una serata in un locale, un duo, una chitarra ed una voce. Tutto qui. Da lì una voglia di sentire questi suoni dentro, una sete instancabile di emozioni, di vibrazioni che scuotono, di onde che arrivano dove non sapevi di avere qualcosa. E si incontra gente nuova, tanta, con qualcosa da dire, con qualcosa da regalarti inconsapevolmente. Ogni nota, ogni sound tocca tasti nascosti e mi risuona dentro. All'inizio faceva male, tornavo a casa con un dolore intenso, come un rimpianto. E non capivo cos'era. Ma volevo andare oltre, il sound mi spingeva a superare questa sensazione. Poi ho capito che quel rimpianto ero io stessa. La sensazione dolorosa di non essermi accorta di me, di non aver capito chi avevo accanto e quanta vita stavo sprecando. Tutte le emozioni si acuivano con la musica. Ricordo l’imbarazzo che gli altri mi vedessero piangere mentre ascoltavo una band suonare. Poi si è passati dalla malinconia ai sorrisi ed alle risate. E la voglia è stata sempre maggiore. Voglia di musica, di estraniarmi dal mondo e sentire i battiti del chitarrista, della cantante, del batterista. Sentire le musica dal vivo, vibrare delle emozioni trasmesse da chi nella musica ci crede. Che poi non sono le stesse emozioni, ad ognuno arrivano con significati diversi. Un segnale decifrato dal mio codice personale, dalle esperienze della mia vita. Come nei libri ognuno nella musica ci legge dentro se stesso, i propri dubbi, le proprie gioie, o trova semplicemente un motivo per ringraziare Dio di averci dato questo senso. Qualcuno disse che cantare è pregare. E mi sa che è vero, ma quello che non ha detto è che non si prega Dio, ma si prega alla nostra anima, per darle pace anche quando non ce l’ha, per darle voce e coraggio di esprimere fuori tutto quello che sente, di gridare al mondo che esiste e chi è. Io in questo momento ci trovo la mia, ovunque, che sia soul, jazz, latino, ritrovo sempre pezzi di un mosaico che mi compone. Un grazie quindi a chi mi regala questi momenti, a chi mi aiuta a prendere un treno e partire, destinazione casa, destinazione me.

giovedì 24 ottobre 2013

Casa

"Un giorno chiesero a Novalis quale fosse il senso della sua arte, quale fosse la meta a cui mirava. (...) Lui rispose: "Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre".

Io non lo so cosa passa per la testa di un artista, che sia uno scrittore, un musicista, un pittore, ma questo cercare di andare a casa lo conosco bene e credo sia proprio di tante altre persone che cercano ancora una loro collocazione. Che in questo nuovo mondo, errante e destabilizzante, senza certezze e con tremila paure, chi non riesce per tempo ad incasellarsi all'interno di etichette sociali ben precise si trova alla ricerca del senso della propria vita. Chi lo ha già trovato non ci pensa più e quasi dimentica, se l'avesse mai pensato, il senso di questo viaggio, di questo cammino verso casa. Chissà perché poi gli si da il nome di casa. Che con la casa fatta di mattoni, con le quattro mura coperte dal tetto non c'entra nulla. Io avrei usato la parola grembo, e avrei pensato a mia madre, ma forse erano altri tempi.
Quando uno si sente perso cerca rifugio in quelle che sono le sue certezze, i porti sicuri della sua vita. Si cerca sempre di tornare indietro. Più si cresce e più si vuole tornare a casa. Sembra contraddittorio, sembra.
Il rifugio, il nascondiglio, l'abisso del mare, il grembo, la casa, sono luoghi che ci cullano e ci proteggono. Luoghi che nascondono in se il desiderio di sentire placato quello che abbiamo dentro. Questa volontà di cercare ancora, di non fermarsi, di non accettare, questo qualcosa che ci spinge sempre più in là, sempre altrove. Ci sono persone che nascono con quest'inquietudine dentro. E questa è quello che le porta oltre. E' la forza che le spinge a dare di più, a cercare un perché. A volte la ricerca è fruttuosa e si diventa Grandi, altre volte invece questo desiderio soccombe sotto responsabilità e banalità, e la vocina interiore diventa sempre più flebile fino a sparire con un ultimo sibilo; altre ancora si impara a viverci insieme, si combatte per farlo comprendere agli altri che si è così e in nessun altro modo possibile.
Fortunati, sfortunati non lo so, spero solo che queste voci non si plachino nel modo sbagliato che non si perdano nella noia e nella routine, perché sono opportunità. Opportunità per fare cosa? Questo lo deve scoprire chi l'ha.

mercoledì 16 ottobre 2013

Trasloco

Avete mai traslocato? Io si, qualche volta.
E per trasloco intendo lasciare la vecchia casa che ti ha tenuto al caldo quando avevi freddo e ti ha dato riparo nei giorni di pioggia. Ma che poi, dopo un pò, non va più bene...
Che i termosifoni non riscaldano più come prima, e quando ci sono gli acquazzoni forti entra acqua dalle finestre; che ogni tanto qualcosa si rompe e ci vuole tanta fatica per aggiustarla, quando si può, e quando non si può si lascia stare, tanto inizia a diventarti stretta.
E ne cerchi un'altra, più grande, più bella, più calda, tutta nuova... che ti faccia innamorare.
Così traslochi.
E inizi a fare scatoloni e pacchi, e via via che togli mobili, soprammobili, libri, ninnoli e tende, la casa si svuota, e ti fa impressione. Ti giri intorno, sembra più grande, e ti chiedi come mai... e ti dispiace quasi lasciarla, che in ogni angolo ritrovi ricordi, che la conosci a fondo, sai cosa funziona e cosa no, sai che la serranda non si deve tirare su fino in fondo che poi si blocca, che il gas va acceso con l'accendino perchè il pulsante è rotto, sai che il secondo tasto del citofono non serve a nulla, ricordi quante volte hai sbattuto contro quello spigolo e quante volte ti sei affacciato a quel balcone... e provi un pò di malinconia nel guardarla così.
E la guardi con affetto, che ci hai passato momenti belli lì dentro, che ancora ricordi i primi giorni quanto ti sei dato da fare per sistemarla e sentirla un pò tua, ricordi come era bello sentire di avere finalmente trovato una casa che faceva per te...
Ma non è la casa in cui passare tutta la vita, questo l'hai capito dopo un pò, troppe cose non andavano, mancava spazio.
Però speri che chi venga ad abitarla dopo di te la tratti bene, che ne capisca i versi, che riesca ad aggiustare il paraspigolo che si sfila sempre, le piastrelle del bagno che si muovono e tante piccole cose che tu non sapevi o non volevi più fare, che tanto ormai non ti andava più bene quella casa lì...
Non vuoi che rimanga disabitata per sempre, o peggio, venga occupata da gentaglia e diventi un via vai di gente di ogni tipo. Vuoi che qualcuno se ne prenda cura come hai fatto tu, che magari per quella gente sarà la casa di tutta la vita, come quella che hai trovato tu, o che stai ancora cercando, mentre nell'attesa dormi sul divano di un amico.

Avete capito davvero cos'è il trasloco?
Non parlo mica di mattoni...


domenica 13 ottobre 2013

Beh, quando qualcuno ti toglie le parole di bocca...

"Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini, perciò ho deciso di vivere la vita con maggiore intensità.
Il mondo è pazzo. Decisamente pazzo...
Le cose buone, ingrassano. Le cose belle, costano. Il sole che ti illumina il viso, fa venire le rughe. E tutte le cose veramente belle di questa vita, spettinano...
- Fare l'amore, spettina.
- Ridere a crepapelle, spettina.
- Viaggiare, volare, correre, tuffarti in mare, spettina.
- Toglierti i vestiti, spettina.
- Baciare la persona che ami, spettina.
- Giocare, spettina.
- Cantare fino a restare senza fiato, spettina.
- Ballare fino a farti venire il dubbio se sia stata una buona idea metterti i tacchi alti stanotte, ti lascia i capelli irriconoscibili ...
Quindi, ogni volta che ci vedremo, avrò sempre i capelli spettinati...
Tuttavia, non dubitare che io stia vivendo il momento più felice della mia vita. E' la legge della vita: sarà sempre più spettinata la donna che scelga il primo vagoncino sulle montagne russe di quella che scelga di non salire...
Può essere che mi senta tentata di essere una donna impeccabile, pettinata ed elegante dentro e fuori. Questo mondo esige bella presenza: pettinati, mettiti, togliti, compra, corri, dimagrisci, mangia bene, cammina diritta, sii seria...
Forse dovrei seguire le istruzioni però... quando mi ordineranno di essere felice?
Forse non si rendono conto che per risplendere di bellezza, mi devo sentire bella... La persona più bella che possa essere!
L'unica cosa che veramente importa è che quando mi guardi allo specchio, veda la donna che devo essere.
Perciò, ecco la mia raccomandazione a tutte le donne:
abbandonati, mangia le cose più buone, bacia, abbraccia, balla, innamorati, rilassati, viaggia, salta, vai a dormire tardi, alzati presto, corri, vola, canta, fatti bella, mettiti comoda, ammira il paesaggio, goditela e, soprattutto, lascia che la vita ti spettini!!!!
Il peggio che può succederti è che, sorridendo di fronte allo specchio, tu debba pettinarti di nuovo."

Giuditta Cambieri

mercoledì 2 ottobre 2013

Il gioco

Il gioco è importante nella vita delle persone. Fondamentale direi. Serve ad imparare, a scoprire, a conoscersi; fa provare emozioni, fa consolidare legami, stimola la curiosità.
Non capisco perché, a volte, si rinunci a giocare, o si attribuisca al gioco una valenza negativa, superficiale, e lo si voglia portare avanti solo con determinate persone o in determinati contesti. Quando due persone si conoscono, ad esempio, è tutto un gioco: la strategia dell'approccio, il gioco dei ruoli, la seduzione... a volte però tutto questo si perde quando i ruoli si definiscono, quando si diventa coppia, quando subentra un legame ed uno status. Come se il gioco servisse solo per l'approccio. Come se si dovesse giocare solo con gli sconosciuti e d'improvviso con la fidanzata, la moglie, la compagna, tutto si trasformasse in seria, pacata, tranquilla routine. Come se il gioco appartenesse ad una sfera diversa. Come se la vita di ogni giorno spazzasse via il tempo da dedicare al piacere. Come se gli impegni, il lavoro, la famiglia, le responsabilità, fossero cose molto più serie ed importanti di quello. Con la conseguenza che poi si torna a farlo di nuovo quando tutto finisce, per distrarsi, per il bisogno di leggerezza, per non pensare ai problemi.
C'è qualcosa di strano in tutto questo, di sbagliato. E' l'accezione che si da al gioco ad esserla. Qualcuno ci avrà sicuramente detto che a giocare possono essere solo i bambini, che da grandi si diventa seri e non c'è più spazio per certe cose...
Niente di peggio, i momenti ludici servono per alleggerirla, la vita. Per continuare a conoscersi, per creare complicità, per non sprofondare nella noia e nella pesantezza della routine. Devono avere spazio, quindi. Ed a pieno titolo. Altrimenti ci si ritrova stanchi ed invecchiati a vivere una vita priva di emozioni, di novità, solo perché si invecchia, solo perché si diventa altro... e tutto ciò, dopo un pò, ci fa andare in crisi...

martedì 1 ottobre 2013

In viaggio

Questo viaggio si conclude in nave. E’ notte ed il mare è agitato, mi metto appartata in un angolo del ponte a guardare il buio, tira aria fresca e le gocce del mare arrivano fino al mio viso. In lontananza le luci lontane di una costa col suo faro e una nave da crociera. Chissà quanti destini si staranno incrociando in questo momento, chissà cosa succede laggiù. Mi viene in mente Novecento, non so perché, il pianista di una nave che non la abbandona mai, fedele e leale. Ho voglia di Baricco in questo momento, mi piacerebbe cullarmi tra le parole di Oceano mare, sarebbe il luogo ideale, l’atmosfera ideale. L’ho sempre letto al mare quel libro lì, e non d’estate sotto il sole, ma all’imbrunire, me lo sono gustato in un’atmosfera tutta speciale, tutta sua. E mi ricordo le stesse gocce di acqua salata sul viso, come quella che usa il pittore per dipingere il mare… chi non ha letto il libro non sa di cosa parlo, non sa la poesia che esprime un pittore che dipinge giorno dopo giorno, anno per anno, un solo unico quadro. Bianco. Perché dipinge il mare. Intingendo il pennello nell’acqua di mare…
Strano questo viaggio, pieno di emozioni, di contrasti, di vita passata e presente, di futuro. Una casa che si smonta, una vita che si lascia alle spalle ed un futuro a cui si corre incontro con una benda sugli occhi. Ma col cuore carico di sogni. Montare, smontare, saluti, addii, arrivi e partenze. Vite. Sarà la legge del contrappasso, io che odio i cambiamenti mi trovo a dover cambiare ancora una volta, ancora una vita. C’è gente destinata a vivere e morire nello stesso posto, con lo stesso compagno tutta la vita, nella stessa casa, con lo stesso lavoro e gli amici di sempre. E per loro è tutto facile, la vita scorre così, un giorno dopo l’altro. C’è gente invece che non riesce mai a stare ferma, che viene continuamente sballottata dalla vita, che viene travolta ed investita da questa, ma che rimane sempre in piedi. A volte mi sento una sopravvissuta, con la strana sensazione che questa inquietudine che sento dentro non troverà mai pace. Sempre alla ricerca di qualcosa, sempre alla ricerca di una casa, sempre alla ricerca di un significato universale. Ci sono persone che non ci pensano, i cui pensieri sono sempre gli stessi, sempre uguali, banali, giorno dopo giorno. Ce ne sono altre invece che non fai in tempo a dire che pensano che già quei pensieri sono stati sorpassati da altri 1000. La mia testa è un vortice continuo di pensieri. A volte ordinarli è difficile, altre meno. Sono una persona in continuo movimento, che non imparerà mai tutto e non sarà mai contenta delle risposte alle sue domande. Che c’è sempre qualcos’altro dentro. C’è sempre un perché nelle cose, sempre un ragionamento che vale la pena di fare. C’è sempre la ricerca della felicità. Attimi sfuggenti che danno il senso a tutto il resto. Momenti che appagano di tutto il resto. Io non mi accontento. Riesco a tollerare ma poi non sono felice. Voglio di più. Voglio colmare quella strana sensazione che ho dentro, quella stupida idea che la vita non deve essere un giorno dopo l’altro e un altro ancora, che il senso deve essere diverso, per forza. Che se stiamo al mondo un motivo ben più grande di scaldare un letto o una scrivania e di accoppiarsi c’è. Sarò io ad essere incontentabile, non lo so, ma so che non voglio favole. Voglio lottare e conquistare tutto quello che ho, anche i regali. Voglio vincere la vita. Voglio darle un senso. Il mio.

sabato 28 settembre 2013

Data di scadenza

La vita è breve, questo si sa, lo sappiamo tutti.
Sappiamo che c'è un tempo,
limitato,
preciso.
Quello che invece non pensiamo mai è se siamo legittimati a perderlo questo tempo.
Quando ci ingabbiamo in situazioni che non vogliamo,
quando domani si vedrà,
quando stringo i pugni e vado avanti...
Troppo lusso.
Dovremmo camminare con in testa la nostra data di scadenza, come sullo yogurt,
stampata lì a caratteri neri e cubici. Che se lo yogurt non si mangia in tempo poi si butta!
Che spreco...
Non so voi, ma io non ho più tempo da sprecare,
ho solo tempo da vivere...

mercoledì 11 settembre 2013

Facile e semplice

Facile e semplice non sono sinonimi.
Le cose facili spesso non portano a nient'altro che piaceri effimeri.
Le cose semplici spesso implicano degli sforzi e la piena soddisfazione di esserci riusciti appaga con un piacere duraturo e maturo.
Maturo perché il superamento di un ostacolo ci fa crescere, ci regala saggezza; perchè le paure sono dei piccoli, di chi ancora non conosce, di chi non vuole superarsi.
La vita non è facile, ma è più semplice di quello che crediamo.
E va vissuta per noi stessi, che un'altra non ce la regala nessuno.
Ed al meglio delle nostre possibilità, che non si sa quando finirà.
Buona vita, allora...

lunedì 15 luglio 2013

Pensieri tra le righe di un libro...

L'indomani a matino l'accompagno' a Montelusa a pigliare il pullman per Punta Raisi che partiva alle setti. Montalbano l'abbrazzo' accussi' forti e se la tinni tanto stritta a longo, che Livia s'ammaraviglio'.
"Che hai?"
"Mi dispiace che tu parta"
"Ma ti senti bene?"
"Benissimo, non ti preoccupare".
'Nveci non era vero.
Sintiva che Livia gli sarebbi mancata assa'.
Facenno la strata di ritorno, vinni assugliato da 'na gran botta di malincunia.
Gli capitava sempri, quanno Livia sinni annava, ma questa era cchiu' forti delle precedenti.
Signo di vicchiaia?
Stavolta, 'nzemmula alla malincunia, c'era pero' macari 'na punta di disagio pirsonali del quali non sapiva spiegarsi la raggiuni.
Siccome che la matinata pariva finta tanto era bella, sterzo', piglio' un viottolo, fici un centinaro di metri, fermo' la macchina, scinni' e si misi a caminare 'n mezzo all'arboli di mennuli e di aulivi saraceni, quest'urtimi pero' sempri cchiu' radi.
E tutto 'nzemmula si spiego' la scascione sel so' stato d'animo. Stavolta, alla malincunia per la pirsona amata che sinni annava luntana, s'era aggiunta la consapevolezza della so' solitudini.
Squasi tttuutte le sirate della so' vita le passava da sulo, dda sulo annava a magiare, da sulo annava a passiare. Non aviva un amico col quali parlari delle so' cose, addimannare un consiglio,confidarisi.
'Na vota gli piaciva. La solitudini gli dava un senso di libbirta'. Ma ora, nell'ultimissimi tempi, la solitudine gli accomenzava a pisari.
(...)
"La signora e' partita?"
"Si"
"Se la tenga cara"
Montalbano lo talio' 'mparpagliato.
"E' una persona rara."
Livia era bona, cara, e lui l'amava dal profunno del cori, ma defnirla addirittura rara! Parse che l'autro gli aviva liggiuto il pinsero.
"Sa, capita che una lunga frequentazione appanni un po' la visione delle qualita' della persona che da tempo ci sta accanto."
E questo era vero.

sabato 13 luglio 2013

Bentornata!

Mi sento come un emigrato.
Credi di sapere quanto ti manca la tua terra, ma nn lo sai finchè nn torni.
È quasi sera, il sole è tramontato e sono al mare. C'è il suo sottofondo che mi arriva al cuore e quasi piango. Mi sale su un nodo in gola. Mi sei mancato mare. Tanto. Sei la mia bussola dei mmomenti difficili, sei l'equilibrio sul filo, sei il dondolo che cura le ferite ed i pensieri. Io, solo io e te. A fare i conti. Nessun bagnante, nessun altro se nn te. O me stessa. In fondo sei il mio specchio, la mia anima libera che prende il sopravvento. Niente prigioni, niente costrizioni, solo libertà. In qualche vita precedente dovevo essere un pesce, o magari un marinaio, chissà... il mare con le sue profondità, con i suoi anfratti e le scogliere affilate è dentro di me. Fa paura il mare di notte, in tempesta, nel suo buio profondo schiarito solo dalla bianca schiuma delle onde sotto la luna. Fa paura. È la paura di quello che nn vediamo, di quello che abbiamo dentro. Che a volte nn conosciamo, delle nostre profondità recondite.
Mi mancavi amico mio.
Mi mancavi Sabrina.
Bentornata!

Leggendo qua e là...

  • "...ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all'estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte nè brucia nel fucoco. (...) in me (...) è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un'altra persona." da Grossman, Che tu sia per me il coltello
  • "...gli ho detto, quel che di bello c'è nella vita è sempre un segreto... per me è stato così... le cose che si sanno sono le cose normali, o le cose brutte, ma poi ci sono dei segreti, ed è lì che si va a nascondere la felicità.." da Baricco, Castelli di rabbia
  • "Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanere secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro." da Baricco, Oceano Mare