lunedì 22 settembre 2014

Claustrofobia

Ieri giornata avventura. Esplorazione di una grotta imbracati come salami e buttati giù verso l'abisso o dentro pozzi senza fine. Urge una premessa. Io le cose avventurose le ho sempre fatte, mi sono sempre piaciute, nei limiti del rischio accettabile ovviamente. Ho partecipato a tutti i sentieri sotterranei che trovavo, con acqua, senza acqua, imbracata e non. Però in alcune fasi della mia vita mi son trovata a soffrire di claustrofobia. Io. Io che da ragazzina giocavo in ascensore a fare su e giù in continuazione, io che son rimasta bloccata anche ore lì dentro a ridere e scherzare... Strani scherzi del cervello. Era da un pò che non mi mettevo alla prova. Volevo vedere se il mio cervello era ancora in tilt. 
Ingresso alla grotta, un cunicolo alto 50 cm e lungo qualche metro da attraversare rigorosamente strisciando, stile marines, con roccia a dx, a sx, sopra la testa e sotto la pancia. Tutto buio. Che già a descriverlo così fa impressione. E dopo sempre più spazio fino a camminare a 4 zampe. Come è andata? 
Sono morta... dalle risate. L'ho fatto ridendo questo percorso, ma ridendo quasi con le lacrime. Ed ho capito una cosa. Davanti a qualcosa di difficile, davanti a qualcosa che ci fa paura, che ci mette ansia, mai guardare l'obiettivo. Mai guardare come andrà a finire, cosa potrebbe succedere. Vivere solamente l'attimo. Guardare solo fino alla punta del proprio naso. Non più in là. E così sdraiata per terra ho visto chi avevo davanti, due ragazzi che giocavano a fare le foche, mi sono divertita godendomi il momento e dimenticandomi di tutto il resto. Era una scena divertente, quella che stava capitando. Avrei potuto pensare invece a catastrofi, a pezzi di roccia che avrebbero potuto franare, a un terremoto improvviso, ad un mio malessere intrappolata laggiù. E invece no. Mi sono goduta il vero presente, la realtà. Che spesso ci mette ansia l'innumerevole quantità di possibilità che ci immaginiamo e che poco hanno a che vedere poi con quello che davvero succede. Il nostro cervello tende a sconfinare quando invece dovrebbe solo vivere di presente e non andare mai oltre...

giovedì 11 settembre 2014

Less is more

A volte non ci si arrende all'idea che si debba tagliare qualcosa. Ci ostiniamo a tenere sulle nostre spalle fardelli sempre più grandi che prima o poi ci sovrastano. Portiamo e sopportiamo pesi inutili che ci appesantiscono l'anima. Un grande architetto diceva "less is more", "il meno è più". Questo credo valga per tutto. L'ornamento superfluo che affatica l'occhio si trova ovunque. Si trova in certi atteggiamenti ipocriti e di circostanza. Si trova nell'uso di determinate parole solo per arricchire frasi e pensieri di per se privi di contenuto. Si trova nei sentimenti, in quella tendenza al buonismo che fa essere tutti amici di tutti. Invece le cose vanno soppesate. Ad ogni cosa il giusto peso. 
Abbiamo la tendenza ad accumulare, per sentirci protetti in mezzo al caos, dove si trova sempre un riparo, un nascondiglio, un appiglio. Non tagliamo i ponti che ci legano a persone e cose sbagliate perché non abbiamo il coraggio di dire la parola addio. Non sappiamo liberarci dall'abitudine, dalla routine, dall'idea di vita che ormai ci appartiene. Ci serve il conforto rassicurante della loro presenza. Sono punti di riferimento senza i quali si soffre. Ma con i quali si soffre più a lungo.
Non capiamo che alleggerendo le spalle magari riusciamo anche a volare...

sabato 6 settembre 2014

Ingranaggi

Fermarsi a pensare. Capita a tutti. Chi più chi meno. Spesso è una disgrazia. A volte una benedizione. Altre volte non lo sai cos'è, sai solo che ogni tanto gli ingranaggi partono da soli e crik crik iniziano lentamente a girare. E gira e rigira gli ingranaggi e le ruote aprono cassetti impolverati e vengono fuori cose che non ricordavi fossero così. Non so se il tempo attutisce. Forse placa gli animi. Forse spegne la luce accecante che una volta puntava come uno spot proprio su quei fogli ingialliti dentro al cassetto. Ora alla luce flebile di una candela ecco riapparire forme, sagome, lettere, discorsi. Uno dietro l'altro. Ecco che prendono nuovamente corpo e vita e sembrano solo ricordi. Da guardare con affetto distaccato. In viaggio tra i ricordi ci si scopre anche a sorridere a mezza bocca, a provare qualche forma di affetto che quasi ci coglie impreparati. In qualche tempo, nel cammino della nostra vita, deve essere successo qualcosa, un giorno, o col susseguirsi di questi, che ha cancellato il dolore. Il dolore, la rabbia, è tutto scomparso. Ci si guarda il petto per cercare le ferite, ma niente, scomparse. Non ci sono più. Un giorno ci si sveglia e ci si accorge che col tempo si riesce a guardare la propria vita con serenità. Che gli scheletri diventano polvere. E la polvere vola via con un soffio. Ed il cuore è più leggero. E si pensa nuovamente a qualcuno con dolcezza. Un pensiero che dura un attimo e poi vola via... lontano.

Leggendo qua e là...

  • "...ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all'estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte nè brucia nel fucoco. (...) in me (...) è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un'altra persona." da Grossman, Che tu sia per me il coltello
  • "...gli ho detto, quel che di bello c'è nella vita è sempre un segreto... per me è stato così... le cose che si sanno sono le cose normali, o le cose brutte, ma poi ci sono dei segreti, ed è lì che si va a nascondere la felicità.." da Baricco, Castelli di rabbia
  • "Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanere secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro." da Baricco, Oceano Mare